Volete sapere come sarebbe viaggiare “zaino in spalla” in Africa? Diana ci racconta la sua incredibile esperienza in Kenya con il suo nuovo libro “Sulle Strade del Kenya”.
Se mi venisse chiesto <Cosa vuoi fare da grande?> risponderei che vorrei diventare Diana “La Globetrotter”! Ci siamo conosciute anni fa dapprima tramite Twitter e poi ci siamo incontrate di persona.
Non appena è uscito il suo libro “Sulle Strade del Kenya” non ho esitato a dedicarle spazio nella rubrica Interviste ai Viaggiamondo del mio blog.
Diana è una vera viaggiatrice, ma lascio che sia lei a raccontarsi perché è bravissima a farlo e il suo libro lo si divora. Sono davvero felice di farvela conoscere attraverso questa intervista.
Buona lettura.
1. Raccontaci di te
Sono Diana, viaggiatrice per passione (e per professione) nonché autrice del blog di viaggi La Globetrotter in cui racconto avventure e disavventure di una backpacker solitaria in giro per il mondo e fornisco informazioni e consigli utili per organizzare viaggi fai da te.
2. Qual è stato il tuo primo viaggio in solitaria?
Il mio primo viaggio in solitaria è stato in Senegal. Era la fine del 2005, mi ero laureata da un paio di mesi, stavo rientrando a casa dall’ufficio e decisi di farmi un regalo.
Così entrai al CTS – all’epoca comprare voli sul web non era consuetudine come oggi – e ne uscii con un biglietto in mano diretto a Dakar della durata di tre settimane. Partenza prevista il mese successivo. Fu un impulso, non premeditato. Non conoscevo l’Africa nera e scelsi il Senegal perché era un paese tranquillo in cui si parla il francese che è quasi una seconda lingua per me.
Con il senno di poi penso che quel lontano pomeriggio di dicembre del 2005 uscii dal CTS con qualcosa di più di un volo per l’Africa: un biglietto di sola andata verso la libertà.
3. Quando è avvenuto il primo incontro con l’Africa?
Se parliamo di Africa nera, come detto sopra, il 2006. Se parliamo di Africa in generale il 2004, quando partii in autobus con un’amica dirette in Marocco, girandolo in lungo e in largo per quasi un mese.
4. Dicci i tre momenti più speciali che ti vengono in mente pensando all’Africa
Arriviamo alle domande difficili, come faccio a sceglierne solo tre? 🙂
Ti dico i primi tre che mi vengono in mente, partendo dalla macro categoria di quelli vissuti in compagnia dei locali: dal Senegal al Kenya, dal Burkina Faso al Rwanda, tutti i momenti trascorsi con la gente sono stati speciali.
Tra il 2006 e il 2010 ho bazzicato con una certa costanza l’Africa Occidentale e i paesi del Sahel: durante l’ultimo viaggio, durato due mesi e mezzo, ho fatto un giro di tutte le persone conosciute negli anni precedenti per salutarle. Era il modo migliore per ringraziarle di tutti i momenti speciali che mi avevano regalato. E anche durante l’ultimo viaggio, in Kenya, i momenti che ricordo con calore sono quelli in cui sono stata ospite di una famiglia ai margini di Kakamega Forest.
Un altro dei momenti speciali che ho vissuto in Africa risale al 2008, in Mali, durante il Festival du Désert di Essakane: tre giorni di musica nel mezzo del Sahara in un crogiolo di lingue ed etnie impossibile da dimenticare.
Il terzo, e poi mi fermo giusto perché me ne hai chiesti solo tre, l’incontro con il Gorilla di Montagna, in Uganda: un’esperienza che tutti dovrebbero fare, almeno una volta nella vita.

5. Qual è stato il momento più difficile di questo viaggio in Kenya?
Per rispondere a questa domanda, devo fare una premessa. Non sono partita per il Kenya perché morivo dalla voglia di visitare il paese, l’ho fatto perché volevo conoscere l’Africa Orientale ed essendo tra i vari stati dell’area il più turistico, ho pensato fosse il più facile da girare da sola, in autonomia, e quindi il più adatto per rompere il ghiaccio prima di proseguire il viaggio verso l’Uganda e il Rwanda.
Paradossalmente, tra i tre paesi, è stato quello con cui ho trovato più difficile stabilire una sintonia, in particolare nella zona della costa dove mi sono scontrata con beach boys fastidiosi come mosche che vedono nella mzungu un po’ attempata una preda appetibile. Non amo essere cacciata, né in Italia né altrove.
6. Quando hai pensato di scrivere un libro e in quanto tempo l’hai scritto?
Ho pensato di scrivere il libro quando ero in Kenya, ospite della famiglia di Kakamega Forest. È stata una settimana così ricca di emozioni che l’ultima sera, prima di congedarmi, ho promesso a tutti che se mai avessi avuto l’opportunità, avrei raccontato dei momenti trascorsi con loro. Rientrata in Italia ho buttato giù due appunti e li ho lasciati lì, a sedimentare.
Esattamente un anno dopo mi ha contattata Alpine Studio, una casa editrice specializzata in libri di viaggio, chiedendomi se avevo qualche bella storia da raccontare. Ho firmato il contratto a fine novembre e ho iniziato a scrivere, in maniera disordinata: ero in viaggio e non era facile ritagliarmi del tempo. Sono rientrata in Italia pochi giorni dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza e tra la fine di marzo e la metà di giugno ho lavorato duro, consegnando il manoscritto – come da accordi con la casa editrice – il 20 giugno 2020, esattamente sette mesi dopo averlo iniziato.
7. Nel libro fai riferimento al couchsurfing. Quali consigli dai a chi vuole provare questa esperienza?
Consiglio semplicemente di lanciarsi, senza aver timore. Il couchsurfing è una rete che ti mette in contatto con persone che conoscono il valore del viaggio e sono spinte dal desiderio di condividere, ospitandoti a casa loro.
A mio avviso la differenza tra “un viaggio” e “il viaggio” la fa l’incontro con le popolazioni locali, vere depositarie della cultura di un paese. Io sono iscritta al couchsurfing da dieci anni e l’ho sperimentato in tutto il mondo, senza nessun tipo di problema, tutt’altro. Mi sono fatta amici ovunque e trovo sia una cosa meravigliosa.
8. Il tuo ritorno in Africa un giorno dove sarà?
Non lo so. Viaggio come vivo, di pancia.
Mi piacerebbe tornare in Kenya per regalare il mio libro alle persone che ho conosciuto, ma mi piacerebbe anche visitare l’Etiopia.
È un sogno chiuso nel cassetto da anni, credo sia giunto il momento di tirarlo fuori.